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La declinazione dell’inclusione

La declinazione dell’inclusione


La declinazione dell’inclusione

Ecco come essere inclusivi può rappresentare un valore aggiunto nel mondo del lavoro.

Il tema dell’inclusione o inclusion, è senza dubbio uno dei più dibattuti, in quanto spesso si è di fronte a forme di non-inclusione praticamente ovunque, in particolare all’interno del mondo del lavoro.

Perciò noi di Place&People Hub, professionisti del mondo delle Risorse Umane, abbiamo deciso di approfondire l’inclusione nel business, in modo da spiegare perché essa possa rivelarsi una chiave di crescita e miglioramento. 

Definizione

Quando parliamo di inclusione nel lavoro, intendiamo l’inserimento di un individuo all’interno di un’azienda/contesto lavorativo, indipendentemente dalla presenza di elementi limitanti.

Ok, detto così sembra tutto scontato e anche ovvio. Forse lo è per chi non ha mai vissuto esperienze di non-inclusione.

Infatti, anche il web che, qualora si cercassero informazioni a riguardo, evidenzia il lato inclusivo delle aziende: è possibile leggere di come grandi realtà si siano promosse come organizzazioni aperte all’integrazione, e verso clienti e verso dipendenti.

Tutto questo può aiutare moltissimo le aziende stesse a crescere, anche in termini di produttività.

Vediamo come. 

Obiettivo 1: conoscere per riconoscere

Premesso che di materiale in rete ce ne sia in abbondanza, e, consapevoli del rischio di cadere nel già detto, ci sentiamo in dovere di elencare le più frequenti cause che nel mondo del lavoro determinano non inclusione e dunque discriminazione (termine forte ma che rende l’idea).

Si può essere esclusi per:

  • genere;
  • età;
  • etnia;
  • religione;
  • orientamento sessuale;
  • eventuali disabilità.

Questi sono i casi più frequenti, e anche purtroppo i più evidenti. Leggermente più defilati sono il ruolo ricoperto e il divario salariale (episodi di demansionamento o esclusione da piani di carriera o crescita).

Perciò è necessario conoscere, informare ed essere informati, perché non è detto che essere assunti dalla grande multinazionale, con enormi fatturati, dove tutti sognano di lavorare, sia una realtà altrettanto attenta rispetto a quanto detto.

Anzi.

Quali sono i brand inclusivi?

Tuttavia, sono comunque molti i brand che hanno comunicato il loro essere inclusivi, come citato in un articolo, dove è emerso come i marchi, attraverso il marketing, l’impegno nel sociale e l’employer branding, sono riusciti a creare grande appeal attorno a sé attraverso dipendenti e consumatori.

Infatti, uno studio sui brand percepiti come più inclusivi, tra cui figurano Barilla, Carrefour, Google, Rai, Sky, Nestlé, Vodafone, Tim e Coca-Cola, per i motivi sopracitati, ha delineato come essi abbiano registrato una importante crescita, anche nel fatturato.

Infatti, è stata proprio la percezione che le aziende hanno creato intorno ad esse a far la differenza. 

Strumenti per l’integrazione

Essere inclusivi dunque vuol dire avere attuato policy e azioni contro le discriminazioni.

Ma c’è sempre coerenza tra quanto detto e quanto fatto realmente?

Il celebre detto afferma che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma tra i marchi citati, in quanto oggetto di valutazione da parte di studiosi del settore, c’è stata un’effettiva partecipazione a campagne promozionali, eventi per il sociale e apertura all’applicazione di iniziative pro-inclusione anche interne dell’azienda stessa.

Infatti, proprio a favore della promozione della diversity, anche la comunicazione aziendale interna può risultare un potente mezzo di sensibilizzazione dei dipendenti verso queste tematiche.

Essa può avvenire attraverso:

  • community;
  • intranet;
  • forum aziendali.

Tutti questi possono essere degli spazi di confronto e condivisione per trovare, ideare ed applicare delle soluzioni per abbattere barriere e stereotipi, che risultano essere il più delle volte puramente culturali. 

Il ruolo della leadership

Un articolo pubblicato da Mark-up.it ha evidenziato come l’inclusion possa essere un aspetto strettamente legato alla leadership, ovvero essere applicata attraverso figure manageriali che ideano e attuano una serie di politiche volte a creare un ambiente di lavoro confortevole ed accogliente.

Sono state istituite figure professionali specifiche e dedicate come il diversity manager, il cui compito è di attuare e controllare tutti i processi a favore della creazione di un contesto lavorativo diversificato e inclusivo.

Infatti, riuscire a raggiungere quest’obiettivo, può essere uno strumento fondamentale per crescere nel business, sia in termini di clima aziendale, sia per la produttività.

Questo può avvenire:

  • incoraggiando l’innovazione e aiutando ad anticipare le esigenze dei clienti finali, ottimizzando così le strategie;
  • valorizzando i talenti a prescindere da età, genere e provenienza, orientando l’azienda ad un mercato globale più variegato;
  • dando ulteriore valore alle competenze, grazie alla condivisione di esperienze;
  • stimolando la diffusione di idee per migliorare le performance. 

Per concludere

Abbiamo visto dunque come non sia poi così immediato comprendere il reale significato di inclusione, e come, al contrario, risulti molto semplice cadere nella discriminazione verso gli altri e, a volte, anche verso noi stessi.

È vero, ci siamo rivolti principalmente alle aziende, ai manager e ai dipendenti, fino ad arrivare ai consumatori, però il nostro consiglio è provare ad essere inclusivi innanzitutto verso noi stessi: proviamo ad essere d’esempio, non ponendoci limiti insormontabili, scavalcando quelle paure e quegli ostacoli invisibili che sono effettivamente frutto della nostra mente o di mere consuetudini.


Luca Giannuzzi

HR Recruiter Specialist

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